Pensare per immagini non si improvvisa. Inclusa la perfetta ambiguità che lo può sempre circondare – un concetto perfettamente espresso è cosa ben differente se prodotto da un fotografo o da un ingegnere, un grafico o un artista, una persona o un personaggio.
Un simile concetto seguirà di volta in volta percorsi mentali alternativi, toccherà e alluderà a memorie ed esperienze, cliché e santuari, affatto diversi.
Fabio Rizzo presenta una sequenza fotografica. Già: ma la sequenza pesca e fa riaffiorare tutto quel ch’è il vissuto dell’autore, la memoria, l’esperienza e le pulsioni visuali. Le passioni, gli imperativi, le improvvise debolezze, gli stupori, gli spassionati abbandoni. Ecco che mentre per loro tramite ci parla di sé, le immagini di Rizzo parlano di sé. Cioè di immagine. Lo spettatore è condotto per brevi cenni, ermetici per quanto quotidiani, frammentari ed essenziali, in un itinerario alla scoperta metaforica del proprio rapporto con l’esistenza, dunque con l’essere, dunque col fare e col fare-l’-immagine (da grafico anche l’immagine-testo).
La suasiva trappola predisposta (in catalogo, significativamente) da Fabio Rizzo consiste nell’approntare una sequenza testuale di didascalie narranti, un apparato che ci culli nella sensazione consolante di saper leggere. Leggere dentro il vissuto, leggerlo nell’immagine e forse così esaurirla. Possederla. Quando invece è lei a possedere noi – se ci possiede – in virtù del suo svanire come racconto e divenire unione e disgiunzione fra storia e procedimento, fra fatto e forma – il passaggio dallo scuro al chiaro, dal privato al pubblico, dall’intimo all’estroverso. Divenire, da sequenza, un insieme di unità incorniciate singolarmente, impaginate su mura che dettano una diversa disciplina. E così ridivenire sintassi di fatti complessi: mostra: arte.
Potrei passare parecchio del tempo – cioè spazio – che qui non ho a puntare il dito sulle allusioni stilistiche, sulle ricchezze formali, sui riferimenti culturali: fare nomi, descrivere composizione e procedimenti mentali di percezione. Sostantivi, aggettivi, verbi. Mi affido alla sufficiente complessità degli sguardi del pubblico: ognuno dei quali, restituendo all’immagine parte della propria complessità d’origine, si rispecchierà e si risveglierà a suo modo nel “risveglio” di Fabio Rizzo.
Un simile concetto seguirà di volta in volta percorsi mentali alternativi, toccherà e alluderà a memorie ed esperienze, cliché e santuari, affatto diversi.
Fabio Rizzo presenta una sequenza fotografica. Già: ma la sequenza pesca e fa riaffiorare tutto quel ch’è il vissuto dell’autore, la memoria, l’esperienza e le pulsioni visuali. Le passioni, gli imperativi, le improvvise debolezze, gli stupori, gli spassionati abbandoni. Ecco che mentre per loro tramite ci parla di sé, le immagini di Rizzo parlano di sé. Cioè di immagine. Lo spettatore è condotto per brevi cenni, ermetici per quanto quotidiani, frammentari ed essenziali, in un itinerario alla scoperta metaforica del proprio rapporto con l’esistenza, dunque con l’essere, dunque col fare e col fare-l’-immagine (da grafico anche l’immagine-testo).
La suasiva trappola predisposta (in catalogo, significativamente) da Fabio Rizzo consiste nell’approntare una sequenza testuale di didascalie narranti, un apparato che ci culli nella sensazione consolante di saper leggere. Leggere dentro il vissuto, leggerlo nell’immagine e forse così esaurirla. Possederla. Quando invece è lei a possedere noi – se ci possiede – in virtù del suo svanire come racconto e divenire unione e disgiunzione fra storia e procedimento, fra fatto e forma – il passaggio dallo scuro al chiaro, dal privato al pubblico, dall’intimo all’estroverso. Divenire, da sequenza, un insieme di unità incorniciate singolarmente, impaginate su mura che dettano una diversa disciplina. E così ridivenire sintassi di fatti complessi: mostra: arte.
Potrei passare parecchio del tempo – cioè spazio – che qui non ho a puntare il dito sulle allusioni stilistiche, sulle ricchezze formali, sui riferimenti culturali: fare nomi, descrivere composizione e procedimenti mentali di percezione. Sostantivi, aggettivi, verbi. Mi affido alla sufficiente complessità degli sguardi del pubblico: ognuno dei quali, restituendo all’immagine parte della propria complessità d’origine, si rispecchierà e si risveglierà a suo modo nel “risveglio” di Fabio Rizzo.
Dal catalogo della mostra Risvegli, Roma 2002
Augusto Pieroni
Augusto Pieroni
Thought by means of images cannot be improvised and may always involve true ambiguity – a perfectly expressed concept is very different when created by a photographer or an engineer, a graphic worker or an artist, by a common person or a celebrity.
Each time the same concept will pursue varying cognitive ways, will touch and allude to very different memories and experiences, clichés and shrines.
Fabio Rizzo exhibits a sequence of photographs: but the sequence brings out and reveals his whole life, memories, experiences and visual vibrations. Passions, rules, sudden weaknesses, wonders and impartial desertions: they tell us of him. Rizzo’s pictures speak of himself. Of images. The spectator is guided by brief, hermetic but everyday, fragmented and essential allusions on a journey to metaphorically discover his own relationship with life, with being and thus with making and with the creation of pictures (as a graphic artist also the image-text ).
Fabio Rizzo exhibits a sequence of photographs: but the sequence brings out and reveals his whole life, memories, experiences and visual vibrations. Passions, rules, sudden weaknesses, wonders and impartial desertions: they tell us of him. Rizzo’s pictures speak of himself. Of images. The spectator is guided by brief, hermetic but everyday, fragmented and essential allusions on a journey to metaphorically discover his own relationship with life, with being and thus with making and with the creation of pictures (as a graphic artist also the image-text ).
Fabio Rizzo has laid a convincing trap (in the catalogue meaningfully) with a series of narrative captions that delude and console us that we are able to understand them. Understand the experience of a life, comprehend through the pictures and perhaps work it out and master it. When we are, or are not mastered, the narrative vanishes uniting and separating plot and procedure, fact and form – from dark to light, from private to public and from the intimate to the extrovert. They become a sequence, a series of single framed episodes, papers on the wall that requre a different order. Thus becoming a syntax of complex facts again: exhibition: art.
I could occupy more time and space too – and point out stylistic allusions, formal resources and cultural references: recite names, describe the design and emotional perceptive procedures. Nouns, adjectives and verbs. I trust in the adequate involvement of the public’s viewing and that each member, by contributing some of his own life’s complexity, will, in his own way, arouse himself in the “awakening” of Fabio Rizzo.
From catalog, Awakening, Rome 2002
Augusto Pieroni
Augusto Pieroni
Awakening
1. Tutte le mattine!
Tutte le mattine la stessa storia. Ma la storia, in realtà, non è sempre la stessa. All'età di undici mesi un pediatra troppo sicuro di sé, sta per rispedirmi al creatore. Sopravvivo. Dunque è più di quarant’anni che tutte le mattine sono differenti, perché promesse di un destino diverso. Perché rubate al tempo.
Tutte le mattine la stessa storia. Ma la storia, in realtà, non è sempre la stessa. All'età di undici mesi un pediatra troppo sicuro di sé, sta per rispedirmi al creatore. Sopravvivo. Dunque è più di quarant’anni che tutte le mattine sono differenti, perché promesse di un destino diverso. Perché rubate al tempo.
1. Every Morning!
Every morning the same thing. Actually not always the same. I nearly die at the age of 11 months by an over confident paediatrician. I survive. So for more than 40 years every morning is different and promises a unique destiny. Stolen from time.
Every morning the same thing. Actually not always the same. I nearly die at the age of 11 months by an over confident paediatrician. I survive. So for more than 40 years every morning is different and promises a unique destiny. Stolen from time.
2. In piedi
La luce sul comodino ferisce e, al tempo stesso, non dilegua del tutto la nebbia davanti agli occhi. Strano che il meraviglioso terminale dell'evoluzione, il nostro cervello, poggi su basi così prosaiche: sono infatti i piedi i primi ad assaggiare il giorno, ricollegandoci al fluire del tempo cosciente. Il cervello, invece, è ancora alle prese col sapore dei sogni.
La luce sul comodino ferisce e, al tempo stesso, non dilegua del tutto la nebbia davanti agli occhi. Strano che il meraviglioso terminale dell'evoluzione, il nostro cervello, poggi su basi così prosaiche: sono infatti i piedi i primi ad assaggiare il giorno, ricollegandoci al fluire del tempo cosciente. Il cervello, invece, è ancora alle prese col sapore dei sogni.
2. Getting Up
The light on the bedside table hurts, not completely dispelling the mist before the eyes. It is strange that our brain, amazing terminus of evolution, rests on such a prosaic base: in fact our feet are the first to sample the day connecting us consciously to time. While the brain, on the other hand, is still busy with dreams.
The light on the bedside table hurts, not completely dispelling the mist before the eyes. It is strange that our brain, amazing terminus of evolution, rests on such a prosaic base: in fact our feet are the first to sample the day connecting us consciously to time. While the brain, on the other hand, is still busy with dreams.
3. Colazione
Lo sguardo sfiora gli oggetti. Riconosce le cose familiari. C'è, in questo, una intimità rassicurante, una dimensione “calda“ della memoria che – ogni mattina – ricostruisce per noi una porzione di mondo nella quale siamo sicuri di essere amati.
Lo sguardo sfiora gli oggetti. Riconosce le cose familiari. C'è, in questo, una intimità rassicurante, una dimensione “calda“ della memoria che – ogni mattina – ricostruisce per noi una porzione di mondo nella quale siamo sicuri di essere amati.
3. Breakfast
The gaze touches objects. He identifies familiar things. There is, in this, a reassuring intimacy, a “warm” dimension of memory which – every morning – rebuild for us a portion of world in which we are sure of being loved.
The gaze touches objects. He identifies familiar things. There is, in this, a reassuring intimacy, a “warm” dimension of memory which – every morning – rebuild for us a portion of world in which we are sure of being loved.
4. Specchio
Sembrerebbe la mia ombra proiettata su una porta. Ma è anche uno specchio che riflette la mia immagine appena svegliato. Sono io ad essere confuso? È l'immagine ad eserlo? O è lo stesso specchio che è un po' confuso?
Sembrerebbe la mia ombra proiettata su una porta. Ma è anche uno specchio che riflette la mia immagine appena svegliato. Sono io ad essere confuso? È l'immagine ad eserlo? O è lo stesso specchio che è un po' confuso?
4. Mirror
It seems to be my shadow projected on a door. But also a mirror reflecting the image of my awakened self. Am I confused or is it the image? Or is the mirror a bit mistaken?
It seems to be my shadow projected on a door. But also a mirror reflecting the image of my awakened self. Am I confused or is it the image? Or is the mirror a bit mistaken?
3. Odio lavare i piatti
Mi piace mangiare, mi piace anche cucinare. Non è stato sempre così. Voglio dire, da ragazzo non avevo un buon rapporto con il cibo. Forse avevo paura di crescere e mantenevo un'alimentazione da bambino. Poi un'estate mio zio, del quale ero ospite, decise di buttare i formaggini e attaccare con pasta e fagioli, bistecche e “sfilatini". Fu un trauma. Ne uscii però con una fame adeguata all'età (e anche notevolmente più grasso). Da lì a scoprire i piaceri della cucina il passo è stato breve. Ma odio lavare i piatti.
Mi piace mangiare, mi piace anche cucinare. Non è stato sempre così. Voglio dire, da ragazzo non avevo un buon rapporto con il cibo. Forse avevo paura di crescere e mantenevo un'alimentazione da bambino. Poi un'estate mio zio, del quale ero ospite, decise di buttare i formaggini e attaccare con pasta e fagioli, bistecche e “sfilatini". Fu un trauma. Ne uscii però con una fame adeguata all'età (e anche notevolmente più grasso). Da lì a scoprire i piaceri della cucina il passo è stato breve. Ma odio lavare i piatti.
3. I hate washing up
I like eating and like to cook too. This wasn’t always the case. I mean as a boy I didn’t have a good relationship with food. Perhaps I was frightened of growing up so kept eating like a child. Then one summer I was staying with my Uncle and decided to throw away baby cheeses and start with pasta and beans, steaks and proper sandwiches. It was a shock. But I recovered with a suitable appetite for my age (and heavier too). From then on the joys of cooking were quickly discovered. But I hate washing up.
I like eating and like to cook too. This wasn’t always the case. I mean as a boy I didn’t have a good relationship with food. Perhaps I was frightened of growing up so kept eating like a child. Then one summer I was staying with my Uncle and decided to throw away baby cheeses and start with pasta and beans, steaks and proper sandwiches. It was a shock. But I recovered with a suitable appetite for my age (and heavier too). From then on the joys of cooking were quickly discovered. But I hate washing up.
6. Protrusione L4-L5
Ovvero, mal di schiena. Ormai pratico la ginnastica tutte le mattine: una costanza che non sapevo di avere. La mia schiena “sostiene” che devo cambiare qualcosa nella mia vita. L'ascolto ma non sono sicuro di capire tutto quello che mi dice.
Ovvero, mal di schiena. Ormai pratico la ginnastica tutte le mattine: una costanza che non sapevo di avere. La mia schiena “sostiene” che devo cambiare qualcosa nella mia vita. L'ascolto ma non sono sicuro di capire tutto quello che mi dice.
6. L4-L5 protrusion
That is, back pain. Now I do gym every morning: a steadiness that I did not suppose to have. My back "sustains" that I have to change something in my life. I listen to him but I'm not sure I understand everything he's trying to tell me.
That is, back pain. Now I do gym every morning: a steadiness that I did not suppose to have. My back "sustains" that I have to change something in my life. I listen to him but I'm not sure I understand everything he's trying to tell me.
5. Angelo
Lo so, senza dubbio sono fortunato. Non dovrei dirlo. Ma c'è un angelo nella mia casa. Alla mia tavola, nel mio letto, nella mia vita. E anche al mio risveglio.
Lo so, senza dubbio sono fortunato. Non dovrei dirlo. Ma c'è un angelo nella mia casa. Alla mia tavola, nel mio letto, nella mia vita. E anche al mio risveglio.
5. Angel
I know there’s no doubt I’m lucky. I shouldn’t have to say it. But there is an angel in my house. At my table, in my bed, in my life. And when I wake up too.
I know there’s no doubt I’m lucky. I shouldn’t have to say it. But there is an angel in my house. At my table, in my bed, in my life. And when I wake up too.
6. Uno sguardo sul reale (dalla finestra)
«… bello come l’incontro casuale di una macchina da cucire e di un ombrello su un tavolo operatorio», sosteneva Lautréamont. E che dire di motorini e pescispada? Chissà dove affacciava la finestra di Lautréamont. Mistero.
«… bello come l’incontro casuale di una macchina da cucire e di un ombrello su un tavolo operatorio», sosteneva Lautréamont. E che dire di motorini e pescispada? Chissà dove affacciava la finestra di Lautréamont. Mistero.
6. A glimpse of reality (from the window)
«… beautiful as the fortuitous encounter of a sewing-machine and an umbrella on a dissecting table», Lautréamont said. And what about scooters and swordfish? Who knows where Lautréamont’s window looked out to. A mystery.
«… beautiful as the fortuitous encounter of a sewing-machine and an umbrella on a dissecting table», Lautréamont said. And what about scooters and swordfish? Who knows where Lautréamont’s window looked out to. A mystery.